Nuove centraline per la qualità dell’aria in Toscana: come si tiene sotto controllo
04.01.2012
Dal 2011 la Regione Toscana ha ridefinito il sistema di monitoraggio della qualità dell’aria; da più parti se ne contesta l’efficacia e per rispondere alle numerose critiche abbiamo chiesto al direttore generale di Apat Giovanni Barca di spiegarci quali sono i presupposti di questa riorganizzazione?
«In primo luogo si è trattato di un adeguamento a quanto previsto dalle normative europee (la direttiva n.50/2008 recepita dal D. Lgs. 155/2010), che hanno come obiettivo di definire un quadro unitario in tutti i paesi europei del sistema di monitoraggio, indicando criteri comuni in merito al numero, alla tipologia e all’ubicazione delle stazioni di misurazione. In sostanza l’Unione Europea ha dettato delle regole comuni per tutti i paesi, in modo che i dati forniti siano pienamente confrontabili fra di loro. Infatti se un qualsiasi cittadino europeo va sul sito http://network.eyeonearth.org/home/ predisposto dalla EEA (l’Agenzia europea per l’ambiente) trova i dati messi a disposizione dalle varie agenzie regionali e nazionali».
Ci si lamenta però che è fortemente ridotto il numero di centraline attraverso le quali viene effettuato il monitoraggio…
«Le finalità del monitoraggio sono quelle di avere indicazioni sull’andamento nel tempo della qualità dell’aria in zone ed agglomerati di una certa dimensione. La Regione ha definito una rete regionale composta da 32 centraline, un numero in linea con la situazione degli altri paesi: in tutta la Germania ce ne sono circa 600, in Spagna 700. Solamente da noi è prevalsa a lungo l’idea che ogni quartiere, ogni abitato dovesse avere una sua centralina. Questa razionalizzazione certamente ha anche motivazioni economiche, mantenere una centralina fissa costa molto in termini di gestione, manutenzione ecc., e non era pensabile quindi mantenere una situazione di “sovrabbondanza” quale quella precedente. Le risorse per la pubblica amministrazione si stanno riducendo notevolmente e quelle per l’ambiente ancora di più: basta guardare il bilancio del Ministero dell’Ambiente o quello di un Assessorato regionale all’Ambiente. Tuttavia, la rete di monitoraggio definita permette sempre di avere un quadro chiaro sull’andamento complessivo della situazione, con riferimento alle aree zone omogenee individuate (dal punto di vista emissivo, orografico, meteo-climatico e di grado di urbanizzazione). Va anche detto con chiarezza che in passato la proliferazione delle centraline è stata anche la “foglia di fico” con cui si è tentato di coprire l’impotenza ad adottare provvedimenti efficaci: quando si protesta contro l’inquinamento, non potendolo contrastare si promette un monitoraggio aggiuntivo…»
Ma alla domanda che continua a venire da parte di singoli abitati, di singoli quartieri, per non parlare di singole strade come rispondete?
«Per situazioni particolari di questo tipo non è necessario avere centraline permanenti. La nuova normativa ha disciplinato anche l’uso di laboratori mobili, che possono sostare per periodi più limitati di tempo (ma comunque di alcune settimane) in punti specifici del territorio, al fine di avere un quadro più di dettaglio della situazione. Diverse amministrazioni provinciali hanno laboratori del genere, che sono gestiti da ARPAT e che possono dare risposte puntuali alle domande dei cittadini in merito a situazioni particolari. Se ci sono risorse disponibili da parte degli enti locali, potrebbero essere indirizzate in tal senso, piuttosto che nel mantenere centraline permanenti al di fuori della rete regionale di rilevamento».
Un altro punto critico è costituito dalla scelta delle centraline di fondo invece di quelle di traffico come riferimento per l’adozione di provvedimenti “contingibili ed urgenti” da parte dei comuni nel caso di ripetuto superamento dei limiti di legge, in particolare per le polveri sottili. Su questo cosa ci può dire?
«Nella rete regionale sono presenti sia stazioni di traffico che di fondo. La loro funzione è però diversa. Le prime, che sono collocate a bordo strada lungo arterie di scorrimento, indicano i livelli acuti di inquinamento atmosferico, costituiscono un riferimento per definire l’esposizione di particolari categorie di persone che rimangono in mezzo al traffico per buona parte della giornata: ad esempio un giornalaio che ha la propria edicola in mezzo ad una strada con traffico sostenuto. Ma non sono rappresentative dell’esposizione di una persona media, cioè di qualcuno che nell’arco della giornata può sì transitare per un certo periodo per una strada trafficata, ma anche lavorare o comunque soggiornare in un edificio lontano dalla strada. La normativa stabilisce specifiche dettagliate per collocare questo tipo di centraline, che rispondono appunto a questa esigenza di indicare l’esposizione ai diversi inquinanti di un cittadino medio. L’approccio adottato dalla nuova direttiva europea ha, quindi, come obiettivo la riduzione generale delle concentrazioni diffuse dappertutto nelle aree urbane, e quindi rilevate appunto dalle centraline di “fondo”, per garantire che ampie fasce della popolazione beneficino di una migliore qualità dell’aria. Peraltro i limiti stabili dalle normative valgono per tutte le tipologie di centraline.
Detto questo, la diatriba relativa alle centraline di fondo ed a quelle di traffico rischia di essere fuorviante rispetto ad una situazione di fatto: i 35 superamenti del limite di 50 mg/m3 del PM10 interessano le centraline di traffico e quelle di fondo. Quindi è indiscutibile che servano azioni per ridurre l’inquinamento atmosferico delle nostre città. Un primo obiettivo può essere quello di far sì che questi superamenti siano fortemente ridotti nelle centraline di fondo (riducendo così l’esposizione media della popolazione), poi niente impedisce che ci si ponga obiettivi più sfidanti e si cerchi di raggiungere lo stesso obiettivo anche per le centraline di traffico. In altre parole, piuttosto che concentrarci sul “termometro”, affrontiamo la “malattia”: cerchiamo di dedicare il meglio delle nostre capacità per individuare quali azioni sono possibili per contrastare l’inquinamento atmosferico, che indiscutibilmente c’è ed è importante».
Critiche particolari sono poi venute sulla collocazione delle centraline di fondo di Firenze, anche queste rispondono a questi criteri?
«Certamente, nella loro collocazione si è tenuto conto in modo puntuale di quanto previsto dalla normativa, così come dell’esigenza di avere a disposizione una serie storica di dati utile per fare valutazioni sulle tendenze di lungo periodo. D’altra parte va detto che se proviamo a guardare l’area fiorentina dall’alto, affacciandosi da Via Bolognese piuttosto che da Monte Morello, vediamo che si trova in una “conca” e che, nelle giornate in cui non piove e non tira vento, è “immersa” in una “nebbiolina” di aria inquinata. I dati che registriamo (vedi grafici) lo confermano, la tendenza è certamente nel tempo ad una diminuzione dell’inquinamento, ma ancora siamo in una situazione complessivamente che non può definirsi buona, e questo vale per tutta la piana metropolitana centrale. In realtà, sembra che i livelli di polveri sottili (il pm10) presenti nell’aria tendano a stabilizzarsi verso un livello medio abbastanza uniforme: diminuiscono di più nelle stazioni di traffico e di fondo più critiche ed aumentano in quelle di fondo meno critiche (Boboli e Bassi).
I dati delle centraline dell’area fiorentina aggiornati al 31.12.2011 | ||
(dati provvisori, in attesa di validazione annuale) |
PM10 media annua (mg/m3) |
PM10 superamenti 50 mg/m3 |
limite 40 mg/m3 |
limite: 35 superamenti annui |
|
Boboli (fondo) |
26 |
17 |
Bassi (fondo) |
24 |
19 |
Buozzi – Scandicci (fondo) |
29 |
37 |
Gramsci (traffico) |
38 |
55 |
Ponte alle Mosse (traffico) |
38 |
59 |
Quale risposta possiamo dare a questa situazione, dobbiamo assuefarci a vivere in un’aria inquinata?
«Dei miglioramenti ci sono già stati e sono prevalentemente da attribuire agli sforzi operati per ridurre le emissioni nei veicoli nuovi: quelli che ormai sono entrati nel linguaggio comune come euro 5, euro 4, ecc. I dati resi disponibili dalla EEA registrano sensibili miglioramenti anno dopo anno in tal senso, così come quelli delle associazioni ambientaliste che hanno sottolineato come “L’industria dell’auto ha opposto una forte resistenza all’introduzione di obiettivi vincolanti nella legislazione europea sull’efficienza delle auto, dicendo che avrebbe portato a costi insostenibili. A oggi, tuttavia, l’efficienza media delle auto vendute in Europa è aumentata e i prezzi di vendita in termini reali sono diminuiti.” Altri interventi strutturali potrebbero essere però perseguiti con maggiore determinazione. Considerato che la principale fonte di inquinamento atmosferico nelle aree urbane è costituito dai trasporti, ad esempio occorrerebbero politiche coraggiose finalizzate a trasferire quote importanti di mobilità dalla gomma al ferro (treni e tranvie). L’esempio della linea 1 della tranvia fiorentina è esemplare: quando si offre un mezzo di trasporto pubblico comodo e frequente la risposta da parte dei cittadini c’è, eccome. Se in una città come Firenze si realizzasse davvero una rete tranviaria estesa certamente se ne potrebbero ricavare benefici sensibili anche sul piano dell’inquinamento atmosferico. Un secondo filone di intervento riguarda poi l’altra principale causa dell’inquinamento atmosferico urbano: il riscaldamento. Puntare sul risparmio energetico, sull’utilizzo delle fonti rinnovabili, sul teleriscaldamento, può determinare ricadute importanti. Un esempio positivo è stata ad esempio la recente inaugurazione della nuova centrale termica dell’Ospedale di Careggi, che ha una potenza analoga a quella necessaria per riscaldare 20.000 famiglie, con una riduzione delle emissioni inquinanti pari, per l’anidride carbonica, a 16.000 tonnellate l’anno. Occorre poi incentivare anche l’impiego negli impianti industriali delle cosiddette BAT (Best Available Tecnhiques), cioè delle migliori tecniche disponibili, che possono portare anche qui a importanti risparmi energetici e riduzione delle emissioni.
Gli interventi strutturali sono importanti e certamente gli unici risolutivi, ma nell’immediato, quando ci sono ripetuti superamenti dei limiti, cosa possono fare le Amministrazioni locali?
«Intanto, siccome molti commentatori hanno criticato gli orientamenti regionali come finalizzati a minimizzare il problema, vorrei evidenziare come la delibera regionale che indica alcuni provvedimenti “contingibili ed urgenti” da adottare, ha introdotto un numero ridotto di superamenti dei limiti per il pm10 (15) oltre i quali le amministrazioni debbano intervenire. Si vuole cioè favorire l’azione per limitare l’inquinamento, non nascondere la situazione. L’esperienza di molti anni mostra che il superamento del valore limite di 50 μg/m3 di PM10, come media giornaliera, avviene essenzialmente nei mesi da novembre a febbraio ed è causato da due fattori principali:
– l’incremento nelle emissioni di PM10 dovuto al sommarsi alle emissioni derivanti dal traffico di quelle derivanti dal riscaldamento domestico (fra i quali negli ultimi anni ha aumentato la propria incidenza l’uso della legna in stufe e caminetti tradizionali, che produce molto PM10);
– il verificarsi di condizioni meteoclimatiche sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti.
In generale il riscaldamento incide in modo significativo nella produzione di polveri sottili (circa per il 30% nell’area fiorentina). Un caso particolare è poi quello costituito dalla combustione di legna, sia per riscaldamento, ma anche quella di qualunque materiale di origine vegetale, quali, ad esempio, gli scarti vegetali a seguito di potature o sfalci; può apparire una questione secondaria, ma la tabella a fianco indica chiaramente quanto azioni che possono sembrare minime possono avere effetti importanti.
Ribadito che l’impegno delle pubbliche amministrazioni si deve innanzitutto concentrare sugli interventi strutturali, che soli possono dare una risposta veramente efficace, mi sembra vada valutata l’opportunità di coniugare strategie di intervento:
- informazione alla popolazione sul rischio di superamento del valore limite, accompagnata dall’invito ad adottare in quei giorni, comportamenti virtuosi. (non usare caminetti aperti o stufe a legna tradizionali se hai un impianto di riscaldamento meno inquinante, se hai più di un’auto utilizza quella meno inquinante, ecc);
- limitazioni relative all’uso dei riscaldamenti e ad alcune categorie di veicoli più inquinanti (motorini a due tempi, mezzi pesanti a gasolio, ecc.) per tutto il periodo invernale e non solo per alcuni giorni quando si verificano i casi acuti.