Riciclare gli scarti che finiscono in inceneritore: la missione possibile di un team di ricercatori tutto al femminile
Plasmix e pulper, materiali irrecuperabili ora utilizzati per produrre calore ed energia, al centro della ricerca di Smarteam: 12 ingegneri al lavoro a Bolzano, e solo uno è un uomo.
Recuperare tutto ciò che non è considerato recuperabile, tutti i materiali di scarto delle lavorazioni della plastica e della carta che normalmente finiscono negli inceneritori. È questo l’obiettivo di Smarteam, azienda innovativa (quasi) tutta al femminile, che lavora a questo sogno avvicinando i mondi della ricerca e dell’industria per dare un impulso determinante nel recupero dei rifiuti. Questo lo scopo di Smarteam, azienda nata nel 2104 partendo dall’idea di creare una società di ricerca e di sviluppo di progetti innovativi che sia direttamente collegata con il mondo industriale. Questo perché la ricerca in Italia molto spesso viene vista come un qualcosa a sé stante, senza finalità pragmatiche dirette. Portando al paradosso che ottime idee non vengano poi messe in pratica, perché sin dall’inizio non è prevista una progettualità legata ad aspetti merceologici e finanziari. Smarteam ha concentrato lo sviluppo dei suoi progetti innovativi prevalentemente nel campo ambientale privilegiando due settori: il recupero reale dei rifiuti che oggi pur differenziati finiscono in discarica e la valorizzazione dei sottoprodotti di origine animale.
Le persone al centro
Amministratore unico e anima di Smarteam è Walter Capponi, che può contare su una lunga esperienza di EPC (Engineering, Procurement and Construction) contractor in ambito industriale. Da quel vissuto Capponi ha portato con sé consapevolezze, sogni ed anche alcuni punti fermi che a suo avviso fanno la differenza, nel momento in cui davvero si vuole puntare a dare alla ricerca un ruolo propulsivo nel mondo produttivo e industriale. «Nella mia precedente esperienza ho visto che spesso si punta davvero poco sulle persone», dice Capponi. Aggiungendo che si arriva addirittura a considerare le risorse umane «come mezzi e quindi come un male necessario, un costo obbligatorio per raggiungere determinati obiettivi». Per Capponi poi nelle industrie spesso si tende ad accelerare troppo e nella ricerca applicata si tende a saltare la fase dello sviluppo preindustriale dove si testano i brevetti: capitalizzazione dell’azienda e speculazione finiscono per prendere il sopravvento, vanificando in gran parte le potenzialità anche economiche della ricerca.
Per questo l’amministratore unico di Smarteam due anni fa ha approfittato dello smembramento della azienda per cui lavorava, acquisendone il settore di ricerca e rendendola in sostanza la costola della sua nuova creatura. Capponi ci tiene moltissimo ad evidenziare la nuova filosofia che sta dietro al personale che è andato a costituire l’ossatura base di Smarteam. «Fin dal nome abbiamo voluto significare la centralità delle persone e quindi dei professionisti che lavorano in azienda, evidenziando una vera e propria alleanza di cervelli volta a raggiungere determinati obiettivi», afferma con orgoglio l’amministratore unico di Smarteam.
Oggi l’azienda che ha sede nell’IDM Business Incubator di Bolzano è infatti costituita da 12 ingegneri esperti, la maggior parte con dottorati di ricerca in energia e ambiente e provenienti da diverse università italiane ed enti esterni come l’Enea. Lo staff presenta inoltre una particolarità che Capponi assicura non essere stata voluta e cioè che è tutto al femminile. «Ci accuseranno di discriminazione all’incontrario» dice in merito l’amministratore unico di Smarteam, orgoglioso però di avere così tanti ingegneri donna, guidati da una donna e cioè Elisa Pieratti. Capponi insiste riaffermando quello che lui ritiene essere l’approccio necessario se si intende promuovere la massima efficienza in un’azienda che fa della ricerca il suo pane: «La creazione di ricchezza non è intesa solo dal punto di vista dello sviluppo economico attraverso i progetti, ma anche nella formazione e nella valorizzazione delle persone che vi lavorano».
Il focus: i falsi residui
La parola chiave per Smarteam è recupero. Tutta l’attività dell’azienda parte dalla considerazione che oggi noi nel mondo e soprattutto in Italia mettiamo sotto il tappeto – e quindi buttiamo nelle discariche o nel caminetto – risorse e materie prime che in realtà potrebbero essere di importanza strategica per la realizzazione di altri prodotti. E tutto questo nonostante la consapevolezza che sul nostro pianeta le risorse sono finite. Smarteam dunque lavora concentrando la sua attenzione soprattutto sui rifiuti che fino ad oggi sono rimasti non recuperabili, nonostante il fatto che abbia preso piede la raccolta differenziata. «Le possibilità sono molteplici», conferma l’amministratore di Smarteam Capponi che è un vero fiume in piena mentre snocciola le direttrici lungo le quali si muove la ricerca della sua azienda. E gli attuali rifiuti che, grazie alle innovazioni dell’azienda, potrebbero vivere una «nuova vita».
Il primo esempio è quello degli imballi e della plastica. Oggi il riciclo della plastica dà comunque luogo ad un rifiuto denominato plasmix e che deriva dalla plastica contaminata, sporca, con residui di carta, non purificata e quindi inutilizzabile in altra maniera. «Il plasmix – ci ricorda Capponi – oggi viene riutilizzato solo per realizzare combustibile solido secondario che viene mandato agli inceneritori o ai cementifici per essere smaltito». Un altro esempio può essere fatto con il pulper, quella parte di lavorazione della carta che corrisponde ad un circa 25% del totale e che attualmente si trasforma in un rifiuto. Si tratta di un materiale di scarto dovuto al fatto che la maggior parte della carta che utilizziamo è patinata o plastificata, producendo una massa non recuperabile. Il terzo esempio riguarda gli scarti che derivano dalla demolizione delle automobili. Circa il 40% dei materiali di cui sono fatte le macchine (sedili, paraurti e in generale tutto il materiale plastico) non è recuperabile perché ha determinate caratteristiche che non rendono possibile o conveniente il il riciclo e il tutto finisce completamente in discarica. Di questi rifiuti ne vengono prodotti dai 2 ai 3 milioni di tonnellate l’anno. E nelle discariche approvate vicino alle autodemolizioni ci sono attualmente quasi 50 milioni di tonnellate di questo materiale, che nei prossimi anni non potranno che aumentare. Infine ci sono i fanghi di depurazione civili ed industriali per i quali ancora oggi, in deroga alla normativa europea perché contengono contaminanti e veleni molto pericolosi, è consentito lo smaltimento in agricoltura.
Nuove prospettive di recupero
Smarteam parte dal presupposto che incenerire significa spesso perdere un’occasione e buttare in discarica comporta oneri di conservazione e messa in sicurezza che ricadono sul cittadino. «Non si può far finta che il problema non esista, i rifiuti esisteranno sempre e per fare un esempio nel Veneto sono quasi 150 i siti a rischio che dovrebbero essere ripristinati», dice in merito Walter Capponi. Una domanda sorge d’obbligo a questo punto, però. Questi problemi non vengono ovviati dai grandi termovalozzatori che sono stati costruiti in varie località italiane? Capponi invita a riflettere: «La raccolta differenziata spinta nel prossimo futuro ci indurrà a fare impianti piccoli, quasi di quartiere». Insomma: i termovalorizzatori vanno bene, ma vanno meno bene le scelte strategiche che finora sono state messe in atto per realizzarli. «Gli attuali termovalorizzatori italiani sono tutti sovradimensionati e stanno ormai entrando in concorrenza per accaparrarsi i rifiuti», aggiunge l’amministratore unico di Smarteam. E allora che fare? «Le nostre ricerche paventano un futuro post-termovalorizzatori, perché noi proponiamo di trasformare questi rifiuti direttamente in valori energetici», spiega Capponi. Ed è proprio in questi mesi che a Bolzano vengono sviluppati alcuni processi nella prospettiva di un’industrializzazione a breve termine delle nuove procedure. In alcuni di questi processi, partendo ad esempio da plasmix o residui plastici dalle demolizioni delle auto, la componente organica del materiale viene trasformata in un syngas. Capponi spiega ancora: «Per ottenere questo non utilizziamo un processo di combustione, bensì un meccanismo che funziona per effetto joule, quindi si tratta una vera e propria conversione del materiale». La potenzialità è notevole se è vero che dal plasmix ad esempio è possibile arrivare ad un 82% di syngas che ha una composizione uguale a quella del gas naturale, con una differenza percentuale dei vari gas che sono all’interno. E il gas prodotto ha caratteristiche molto elevate se si pensa che – come ricorda Capponi – «il potere calorifico ha un PCI (Potere calorifeo inferiore) pari a 32 mega joule al metro cubo, mentre quello quello del metano è 32». Non si tratta solo di teoria, nel più puro spirito Smarteam: «In merito stiamo già realizzando due progetti, uno in Veneto e un in Abruzzo, proprio per produrre questo gas che andrà a soddisfare esigenze industriali, andando a sostituire il gas naturale». Nei prossimi mesi Smarteam concentrerà il suo lavoro sul tentativo di elaborare un progetto pilota per una tipologia di impianto onnivoro, utilizzando vari materiali. E prevedendo una pulizia del gas che tramite processi di metanazione potrebbe anche renderlo utilizzabile non solo nelle industrie ma anche nella rete urbana. Capponi addirittura lascia intendere che – in una visione futuribile – «l’Italia potrebbe rendersi indipendente dall’importazione di gas naturale per una percentuale attorno al 30%, smettendo di buttare via una vera e propria risorsa».
Sottoprodotti animali
Smarteam ha quindi elaborato uno specifico protocollo che riguarda i sottoprodotti di origine animale (S.O.A), tipico esempio in Italia di prodotti mal valorizzati. Questi prodotti ad oggi vengono trattati con una logica di smaltimento e successivo recupero, creando dunque dei prodotti derivati di bassissima qualità, difficile impiego e che molto spesso rientrano per vie traverse anche all’interno del ciclo alimentare animale e umano. L’azienda che ha sede a Bolzano alcuni anni fa è partita con un progetto che prevedeva di considerare questi sottoprodotti come materie prime per un altro prodotto ad alto valore aggiunto. Rivolgendo la propria attenzione prevalentemente alla preparazione di mangimi per animali da compagnia (pet food) di alto e altissimo livello. Anche in questo caso la scelta è strategica, in quanto gli attuali prodotti che scaturiscono dal recupero dello smaltimento vengono utilizzati per realizzare prodotti da discount e grande distribuzione. Che fa una quota di mercato sempre più bassa, mentre il pet food di alto livello sta crescendo a ritmi del 20-25% l’anno.
Motivando le sue scelte Smarteam si fa forza quindi anche di un’argomentazione di carattere etico. A spiegarcela ancora una volta è il fondatore di Smarteam Walter Capponi: «Spesso per il pet food vengono utilizzate materie prime sottratte ai Paesi in via di sviluppo, in sostanza si tratta di proteine animali, di bassa qualità, che vengono prelevate in paesi dove costano poco e che noi con la nostra economia noi siamo in grado di pagare di più rispetto alla popolazione locale che quindi ne rimane priva». Dunque Smarteam lavora affinché con gli scarti della lavorazione della carne possa essere realizzato pet food di qualità in loco. Capponi conferma: «Proprio così, in questo modo evitiamo di buttare una quantità di proteine non stimabile, ma che certamente supera il milione di tonnellate annue». Smarteam lavora direttamente in collaborazione con i macelli, consentendo una valorizzazione al loro interno incentrata sull’utilizzo di questi sottoprodotti che quindi diventano materie prime per altre produzioni. La logica in sostanza viene modificata, passando dallo smaltimento alla trasformazione, mantenendo tutta la catena del freddo. Essendo partner i macelli naturalmente hanno poi tutto l’interesse di mantenere la qualità dei sottoprodotti, che diventano per loro una fonte di reddito importante. E anche in questo caso la conversione promossa da Smarteam permette di valorizzare le piccole strutture sul territorio, cercando di superare quelle che Capponi definisce «cattedrali di smaltimento» («maleodoranti e a ciclo continuo, prive dei una logica di controllo ambientale del processo in quanto concepite come i vecchi inceneritori»).
Smarteam è concepita nella triplice veste di ideazione, strutturazione e gestione di un processo, che permetta di trattare molto velocemente il materiale, suddividendolo in base alla tipologia di proteine, conservandolo prima della trasformazione in un ambiente refrigerato e ad atmosfera controllata. In sostanza l’obiettivo che viene raggiunto è quello di dimostrare che far bene all’ambiente conviene, rendendo evidente il fatto che certi accorgimenti tecnologici nel breve e nel medio periodo vengono ripagati non solo per la salute ma anche economicamente. Gli impianti ideati da Smarteam sono concepiti per essere ad impatto zero dal punto di vista odorigeno. E negli stessi, attraverso una serie di accorgimenti tecnologici, avviene un recupero totale dell’energia termica, riducendo quindi di quasi il 60% i consumi rispetto ad un impianto tradizionale. In prospettiva è in programma anche l’implementazione di un sistema volto ad andare a chiudere il ciclo dell’acqua all’interno dello stabilimento. In definiva quello che si prospetta è un impianto che diventa ecocompatibile ed ecosostenibile, chiudendo il ciclo all’interno del processo. Da punto di vista economico infine l’alta redditività del processo consente di realizzare un bilancio economico molto vantaggioso, grazie alla partnership dei macelli e la garanzia di approvvigionamento a prezzi convenuti. Capponi sintetizza: «Non ci facciamo pagare e invece paghiamo noi, così ci guadagniamo subito data l’alta redditività del processo che tra l’altro ci sta consentendo fin d’ora la collocazione di tutti i prodotti derivati per i prossimi 7/8 anni».