La polpetta avvelenata di fine legislatura: chi è il cuoco?
E’ stato firmato a Firenze il 12 luglio un patto tra la Regione Toscana e 15 associazioni del mondo produttivo e sindacale denominato “Intesa per lo sviluppo della Toscana“, volto nelle intenzioni al sostegno degli investimenti pubblici e privati, alla formazione, all’accesso al credito delle piccole e medie imprese e al rafforzamento della competitività regionale sui mercati internazionali.
Scorrendo l’allegato B dell’accordo, c’è anche una parte nella quale si richiama il sostegno ai progetti di economia circolare, e puntuale come le tasse (o meglio, in questo caso, come la morte) leggiamo di un accordo in corso di definizione col distretto cartario sulla “possibilità di smaltire scarti residui per almeno 70.000 tonnellate l’anno di pulper presso un futuro impianto in corso di autorizzazione”; al lettore lasciamo facilmente immaginare di quale impianto si tratti, al di là dei numeri sulle tonnellate trattate che cambiano ogni volta come una scheggia impazzita.
In poche parole si tratta dell’ennesimo tentativo, da parte di una Giunta Regionale ormai prossima alla scadenza del mandato, di cucinare e servire la polpetta avvelenata per la Valle del Serchio, sotto forma di inceneritore; tutto questo infischiandosene del parere contrario non solo della popolazione, di tutte le istituzioni locali e del Consiglio Regionale, ma anche della parte tecnica dato che le osservazioni e i pareri pervenuti dal pubblico ma anche dagli enti preposti sono in larga parte assolutamente negativi e hanno dato luogo a una mastodontica richiesta di integrazioni per le quali l’azienda stessa ha richiesto il rinvio dei termini di 6 mesi per presentarle; un patto quindi fondato, al momento, sul nulla.
Bene ha fatto il sindaco di Barga a bollare questo accordo come “irricevibile“; tuttavia non possiamo non notare un assordante silenzio da parte di altri soggetti politici che dovrebbero affiancarla e farsi sentire in questa battaglia: che fine hanno fatto i consiglieri regionali locali, in primis del PD per ovvi motivi, come Ilaria Giovannetti e Stefano Baccelli? Davvero non si può fare nulla contro la tracotanza di Rossi e compagnia? L’idea di provare almeno a proporre una mozione di sfiducia nei confronti della giunta è stata presa in considerazione o no? Lo stesso dicasi per i consiglieri del movimento 5 stelle, in particolare Gabriele Bianchi, non è possibile che avere nel proprio partito un ministro così importante come quello dell’ambiente, e notoriamente contrario all’incenerimento come Sergio Costa, non conti niente. A livello nazionale inoltre ci aspetteremmo che intervenissero il senatore Andrea Marcucci e anche il deputato Riccardo Zucconi, che entrambi si erano dichiarati contrari al progetto. Ogni minuto di silenzio in più da parte dei rappresentanti locali in Regione e anche al Parlamento ormai non è più tollerabile, è l’ora di prendere nettamente posizione, non di tergiversare.
Ma non è solo dai politici che ci aspettiamo delle reazioni. Leggiamo che alla firma di questo accordo, o comunque di un suo successivo supplemento, sono chiamate anche le organizzazioni del mondo agricolo come Coldiretti e CIA, che ci hanno finora affiancato in questa battaglia, presentando anche osservazioni di parere contrario al progetto in regione: una loro firma a un patto che preveda il mostro in Valle del Serchio sarebbe davvero incomprensibile a questo punto.
E per ultimo vorremmo invitare anche le sigle sindacali e perché no, anche le aziende del distretto cartario stesso, a una riflessione sull’affidabilità del tipo di impianto proposto (dato che le motivazioni di carattere ambientale-sanitario sembrano non far breccia in loro), prendendo come spunto un articolo uscito recentissimamente su rivista scientifica “Fire, explosion and chemical toxicity hazards of gasification energy from waste” (qui l’abstract) di cui l’autore, il prof. Rollinson che ringraziamo, ci ha gentilmente concesso la visione completa: in esso si descrivono minuziosamente i rischi (in particolare di corrosione, incendio, esplosione, rilascio di gas tossici e inquinamento ambientale) derivanti dalla gassificazione in ambito industriale dei rifiuti e soprattutto viene elencata una rassegna dei ripetuti fallimenti a cui questi impianti sono andati incontro.
Riguardo a questi ultimi leggiamo ad esempio per quanto riguarda le esperienze nel Regno Unito: “un incendio ha causato la chiusura permanente del gassificatore di Dumfries in Scozia nell’agosto 2013, un impianto che faceva parte di 4 installazioni Energy from Waste oggi tutte chiuse, di cui l’ultima, quella sull’isola di Wight, abbandonata nel 2017 e riconvertita a inceneritore tradizionale“; passando alla Germania: “la Germania ha abbandonato il concetto di gassificazione di rifiuti dopo gli incidenti avvenuti agli impianti della Thermoselect….gli impianti di Karlsruhe e Fondotoce sono chiusi e tutti i progetti di costruzione di impianti simili ad Ansbach, Hanau, Herten e Giubasco sono stati cancellati” Seguono altri esempi riguardanti il Giappone e altri paesi. Ai quali potremmo tranquillamente aggiungere la triste vicenda del pirogassificatore di Castelfranco di Sotto, per il quale la giunta toscana si comportò esattamente alla stessa maniera avallando il progetto, poi conclusosi col fallimento della ditta costruttrice e lo smontaggio dell’impianto pezzo per pezzo.
E’ questo il futuro roseo di occupazione sul quale contano tanto i sindacati? Questa è la soluzione del problema per il distretto cartario? Quali garanzie offre KME ai suoi interlocutori che tutto non andrà a finire come negli altri casi sopra esposti? Non ci pare che l’azienda abbia dato grandi prove della sua affidabilità nel recente passato riguardo alla sua attività tipica, figuriamoci quali può dare riguardo a questa avventura.
Crediamo di essere a una svolta cruciale per questa vicenda, nella quale ogni soggetto deve assumersi consapevolmente la responsabilità delle proprie scelte, per non dovere un domani pentirsi amaramente di ciò che ha fatto (o, peggio ancora, di cosa non ha fatto) per evitare simili epiloghi.