Paolo Boffetta, l’epidemiologo di KME
Nel nostro articolo precedente avevamo accennato alla figura di Paolo Boffetta, l’epidemiologo che ha prodotto l’approfondimento sulla salute della popolazione della Valle del Serchio per conto di KME nelle integrazioni al progetto del pirogassificatore; una sorta di valutazione di impatto sanitario che si conclude con l’affermazione secondo cui gli impatti sanitari delle emissioni attuali dello stabilimento sarebbero “molto modesti” e che lo scenario futuro (quello col pirogassificatore) sarebbe migliorativo, in piena sintonia con chi gli ha commissionato lo studio (e verosimilmente anche finanziato la consulenza).
Ma chi è Paolo Boffetta? Sull’epidemiologo, attualmente docente presso l’Università di Bologna, abbiamo reperito alcune informazioni; non si tratta affatto di un “signor nessuno”, ma di una persona ben nota nell’ambiente, sia per le sue indiscusse competenze e il suo curriculum assolutamente di prestigio sia però per il fatto che i suoi lavori più recenti, spesso commissionati da industrie dei più vari settori, sono stati più volte accusati di essere interessati da conflitto di interessi; in poche parole, da sue alcune recenti ricerche epidemiologiche, fatte su richiesta delle industrie, sarebbe spesso emerso che le produzioni industriali in oggetto non avrebbero arrecato danni alla salute statisticamente significativi, talvolta contraddicendo risultati anche affermati in letteratura o addirittura di ricerche condotte in passato dallo stesso Prof. Boffetta.
Le fonti a cui abbiamo attinto sono le più varie e pubblicamente consultabili ovvero, tra le altre:
- L’intero Capitolo 7 del libro”Corporate ties that bind: an examination of corporate manipulation and vested interest in public health” (trad: “I tentacoli delle grandi aziende: un esame delle manipolazioni aziendali e degli interessi particolari nella Salute Pubblica“), scritto da vari accademici, epidemiologi e attivisti; in particolare il capitolo suddetto è stato scritto dall’attivista canadese Kathleen Ruff, medaglia al valore per i diritti civili assegnatale dall’Assemblea Nazionale del Québec per la sua lotta contro la produzione e l’esportazione di amianto in Canada;
- Almeno due articoli del quotidiano francese Le Monde (qui e qui);
- Un articolo del giornalista Riccardo Staglianò, corrispondente di Repubblica, apparso sul Venerdì di Repubblica (qui);
- Il blog del Comitato per Taranto.
E’ superfluo dire che tutto quanto scriveremo è tratto da queste fonti; ci limitiamo in tal senso a riportare dati pubblicati, senza aggiungere alcun commento da parte nostra ed anzi, se il Prof. Boffetta avesse da risentirsi per questo nostro contributo, non tarderemo a pubblicare, dando la stessa diffusione, le sue eventuali repliche.
Come detto, Boffetta gode di un curriculum ineccepibile: centinaia di pubblicazioni su riviste scientifiche e altrettante citazioni, ha condotto progetti di ricerca per i più prestigiosi enti pubblici e ha lavorato dal 1990 al 2009 nell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC); tuttavia dal 2008 ha iniziato a condurre ricerche commissionate e finanziate da industrie dei più vari settori, di cui riportiamo alcuni esempi.
Nel 2008, quando ancora era nello IARC, Boffetta fece una ricerca commissionata dall’industria dello stirene, un idrocarburo utilizzato per produrre diverse materie plastiche, dove, in estrema sintesi, asseriva che “non era stata trovata una significativa evidenza di aumento di rischio di cancro fra i lavoratori esposti allo stirene”. Tale sostanza, nonostante questa ricerca, ancor oggi è tra i cancerogeni probabili per l’uomo (gruppo 2A della classificazione IARC, appena sotto i cancerogeni certi). La sua attività presso industrie private si intensifica poi dal 2009, una volta lasciato lo IARC.
In uno studio commissionato dall’American Chemistry Council, un’associazione di industrie chimiche statunitensi, Boffetta contestava l’evidenza di un aumento di rischio cancro per soggetti esposti a TCDD (la diossina di Seveso, cancerogeno certo per lo IARC); in un altro commissionato dalla Syngenta, azienda di prodotti chimici per l’agricoltura, si metteva in discussione il rischio di cancro per l’atrazina, un pesticida il cui uso oggi è vietato in Unione Europea per i suoi effetti tossici; in un altro la stessa cosa si faceva per il berillio, altro cancerogeno certo per lo IARC, anche questo commissionato da un produttore di questo metallo leggero, la Materion Brush; uno studio del 2012, commissionato da una associazione di imprese estrattive americana, metteva in dubbio gli effetti cancerogeni dell’esposizione ai gas di scarico del diesel, nonostante che il Prof. Boffetta avesse contribuito alle diverse conclusioni della letteratura scientifica in forza anche di suoi precedenti studi.
Tuttavia sono altri due i casi che hanno destato polemiche nella comunità scientifica.
Nel 2011, insieme ad un collega, Carlo La Vecchia, pubblicò uno studio sullo European Journal of Cancer Prevention dove si affermava che i lavoratori esposti ad amianto nel passato non presentavano maggior rischio di contrarre il famigerato mesotelioma pleurico per successive esposizioni; nel fare ciò i due autori dichiaravano che la loro ricerca era stata finanziata dall’AIRC, l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, e che i due non avevano alcun conflitto di interesse. Oltre a sollevare un vespaio di polemiche per il merito del contenuto (tra cui una lettera di protesta alla rivista di circa 160 scienziati), risulterebbe dai resoconti pubblicati che i due autori alla fine avrebbero ammesso per iscritto che 1) la loro ricerca non era stata affatto finanziata dall’AIRC e 2) entrambi erano in conflitto di interessi poiché erano stati testimoni per la difesa di diversi colossi industriali (tra cui Edison, ENI e Pirelli) in cause penali riguardanti proprio le esposizioni all’amianto.
Ma il secondo caso è ancora più celebre ed è legato alla tragica vicenda dell’ILVA di Taranto. Boffetta e La Vecchia sono stati anche consulenti della famiglia Riva, ex proprietari di ILVA e nel 2013 elaborarono un report sottoposto al commissario straordinario di allora, Enrico Bondi, dove si asseriva che le emissioni di ILVA non avevano contribuito agli eccessi di mortalità per cancro e malattie respiratorie fra la popolazione di Taranto, indirizzando le probabili cause di queste patologie, tra le altre, al fumo di sigaretta. Inutile dire che vi fu un moto di indignazione generale. L’Associazione Italiana di Epidemiologia (qui il comunicato) denunciò queste affermazioni parlando apertamente di “un uso distorto e strumentale di dati pseudo-scientifici“ e ancora di “posizioni pseudo-scientifiche, basate sull’opinione di singoli ricercatori che sono in chiara condizione di conflitto di interessi (periti di parte dell’ILVA)“ ribadendo l’evidenza affermata che dimostrava come la popolazione tarantina era stata esposta per decenni ai fumi dell’acciaieria e quindi ad alti livelli di sostanze cancerogene.
Posizioni come queste impedirono a Boffetta successivamente di poter entrare a far parte di altri prestigiosi enti pubblici, tra cui il Centro di Ricerca Francese in Epidemiologia e Salute Pubblica al quale si era candidato come direttore: le polemiche che ne seguirono, di cui potete leggere nei due articoli di Le Monde citati, lo costrinsero di fatto a ritirare la sua candidatura nel 2014.
Noi non siamo affatto studiosi o esperti di epidemiologia ma, per questo, riteniamo giusto attenerci agli studi commissionati ad enti pubblici, come quello svolto da ARS e presentato a Barga nell’Ottobre del 2018, dal quale come detto emergono risultati assai diversi da quelli mostrati da Boffetta nel suo, o come quello in corso (Aria di Ricerca in Valle del Serchio, promosso anche dalla Libellula), perché sicuramente esenti da potenziali rischi di conflitti di interesse.