GLI INCENERITORI MODERNI INQUINANO

Gli inceneritori moderni non inquinano. E’ FALSO, perchè:

I limiti di legge sono obsoleti

In due dei tre inceneritori di RSU attivi ad Amburgo si emettono 0,0085 nanogrammi (ng) di diossine e furani (PCDD e PCDF) per ogni Normal Metro Cubo di fumi. Ancora migliore è il risultato dell’impianto di Milano Silla 2: 0,0017 ng/Nmc di PCDD+PCDF. Si tratta di quantitativi inferiori di ben due ordini di grandezza rispetto alle emissioni degli inceneritori italiani, prevalentemente allineate al limite di legge di 0,1 nanogrammi per Nmc.

Ma persino gli impianti di Amburgo o Milano non si può dire che “non inquinino”. Dato che un nanogrammo equivale ad un miliardesimo di grammo, un valore di 0,1 ng sembrerebbe a prima vista un limite estremamente ridotto. Tuttavia, fa proprio parte del gruppo delle diossine una delle sostanze più tossiche del mondo: la TCDD (tetraclorodibenzoparadiossina). Per avere un’idea di quanto sia pericolosa, si consideri che la TCDD è più di 2 milioni di volte più tossica rispetto all’arsenico (ha infatti un valore di LD50 pari a 0,00002 contro 45). Bastano veramente piccole quantità di questi microinquinanti ubiquitari per provocare danni irreparabili. Per questo motivo, le leggi vigenti impongono limiti di emissione inverosimilmente bassi per PCDD/PCDF.

La tendenza dovrebbe essere quindi di uno stato dell’arte impiantistico che consenta di raggiungere valori di 0,01 nanogrammi, ma al momento non c’è alcun segnale di una revisione della normativa in questo senso.

Quindi bruciare rifiuti strettamente a norma di legge – come succede in molti impianti per i quali viene dichiarata un livello di emissione di PCDD/PCDF esattamente pari a 0,1 ng/Nmc – significa emettere undici volte più diossina che ad Amburgo, e quasi sessanta volte più diossina che a Milano, a parità di quantitativi trattati. Senza contare che anche un limite di legge inferiore di ordini di grandezza rispetto a 0,1 ng non sarebbe comunque cautelativo della salute umana.

Gli inceneritori producono rifiuti pericolosi

Un problema poco noto relativo all’incenerimento di rifiuti è sorto in seguito alla pubblicazione del decreto 205/10, che ha introdotto la possibilità che anche alle scorie di incenerimento, sulla base dei risultati analitici, possa essere attribuito il codice H14 (Ecotossico). Ciò in pratica è destinato a far diventare un rifiuto pericoloso non solo le ceneri (in cui sono tipicamente concentrate buona parte delle diossine generate dopo la combustione) ma anche le scorie.

Dato che in Italia non ci sono più discariche idonee per il conferimento di questo tipo di rifiuti, per chi gestisce un inceneritore la strada obbligata è lo smaltimento di ceneri e scorie all’estero, ad esempio nelle miniere di salgemma esaurite, con una procedura definita backfilling.

La necessità di smaltire in questo modo grandi quantitativi di rifiuti pericolosi si traduce in una pesante dipendenza dall’estero, con tariffe di conferimento destinate inevitabilmente a crescere, in seguito al progressivo esaurimento della disponibilità di collocazione nei siti di smaltimento. Ciò significa che quanti più RSU vengono destinati ad incenerimento, quanto più si riduce l’autosufficienza dei bacini di gestione, che diventano sempre più vulnerabili rispetto a dinamiche esogene. E l’autosufficienza è destinata ad essere un obiettivo di importanza sempre più fondamentale, a causa di alcuni prevedibili sviluppi futuri: aumento del prezzo dei carburanti, crescente difficoltà nella realizzazione di discariche, aumento dei vincoli sul trasporto di rifiuti oltrefrontiera.

A fronte di questa estremamente probabile evoluzione dello scenario, quanto meno un bacino di gestione sarà autosufficiente, tanto più le tariffe pagate dai suoi abitanti aumenteranno in misura proporzionalmente maggiore rispetto all’aumento generale dei costi.

La quantità di scorie e ceneri in uscita da un inceneritore è tipicamente dell’ordine del 25% in peso rispetto ai rifiuti in ingresso. In sostanza, l’incenerimento di rifiuti può quindi essere così definito:

un sistema per trasformare 4 tonnellate di rifiuti urbani in una tonnellata di rifiuti pericolosi, che devono essere poi essere collocati in discarica, all’estero e a caro prezzo.

Non certo una strategia economicamente sensata, per quanto basata su impianti “moderni”.

Gli inceneritori sono tra gli impianti più inquinanti

Ad ulteriore dimostrazione della potenziale pericolosità degli inceneritori, si consideri che nel 2010 questo tipo di impianti è stato inserito nell’elenco delle attività più inquinanti per cui è obbligatoriamente prevista l’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale). Si tratta di un provvedimento che obbliga tutti i gestori degli impianti più inquinanti ad attivare una procedura autorizzativa.

Una volta avviata la procedura di AIA, l’autorizzazione all’esercizio dell’attività viene rilasciata solo dopo aver dimostrato e garantito la propria conformità rispetto alle migliori tecniche disponibili per la specifica tipologia di impianto. In certi casi, l’autorizzazione è subordinata all’adeguamento dei processi impiantistici a dettagliate prescrizioni imposte dai competenti uffici regionali o provinciali.

In pratica, qualche anno fa per tutti gli impianti di incenerimento è stata presentata domanda di AIA, esattamente come hanno dovuto fare i gestori di acciaierie, raffinerie, cementifici, industrie chimiche, impianti di fabbricazione di esplosivi, ecc. L’inserimento degli impianti di incenerimento dei rifiuti nell’elenco delle attività soggette ad AIA non è certo casuale. Scorrendo la lunga lista di sostanze inquinanti emesse da questo tipo di impianti, è facile capire come mai persino il sottoscritto, che con i suoi piani ha localizzato numerosi impianti di incenerimento in Italia, non può considerare la combustione di rifiuti un’attività “innocua”, come molti amministratori tuttora cercano di far credere.

Anche quando, in altre “epoche” ho collaborato alla stesura di piani che sostenevano la necessità di costruire un inceneritore, (in quanto allora era considerato utopico pensare che la RD potesse superare il 30%, come invano cercavo di dimostrare, quindi l’incenerimento era una strada obbligata), mi sono sempre attenuto rigorosamente a questa linea di pensiero e mai mi sono permesso di sostenere che un inceneritore (li ho sempre chiamati così, sin dai primi anni ’90) era un impianto che “non inquina” o addirittura “innocuo”.

Ritengo che chi oggi, impegnato in una battaglia di retroguardia a favore della combustione di rifiuti, volesse appoggiare la costruzione di un inceneritore dovrebbe comportarsi esattamente come chi volesse sostenere la costruzione di un’autostrada a 6 corsie: potrà dire che è “ “necessaria”, “strategica”, “vantaggiosa”, ma mai potrà affermare che è “innocua”. Se lo facesse, sprofonderebbe nel ridicolo.

Un inceneritore è invece un impianto industriale di tipo inquinante e deve essere essere localizzato – sempre ed obbligatoriamente – in una zona industriale.

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